Forestbeat | La foresta
Nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise sono state localizzate le faggete più antiche d’Europa, candidate a diventare Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Noi vogliamo raccontarvi la storia di questo ecosistema così complesso e ricco di vita.
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La foresta

Una foresta vetusta è un ecosistema caratterizzato dalla presenza di alberi di età avanzata, che possono quindi trovarsi al termine del ciclo di vita. Le foreste vetuste rappresentano la massima espressione di naturalità nei nostri territori. Infatti, grazie all’assenza dell’azione dell’uomo, gli alberi riescono a compiere tutto il loro ciclo vitale fino alla morte, arrivando così a raggiungere l’età massima possibile a cui nei luoghi fertili sono associate dimensioni notevoli.

I boschi della Val Cervara, Selva Moricento, Coppo del Principe, Coppo del Morto e Cacciagrande ospitano gli alberi di latifoglie decidue più vecchi dell’emisfero Nord e rappresentano alcune delle foreste vetuste più importanti d’Europa.
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Le fasi del ciclo strutturale

Una foresta vetusta è un sistema dinamico in cui le piante crescono, si riproducono e muoiono di “morte naturale”, competendo per le risorse, ma anche cooperando tra loro. In una foresta vetusta possono essere a stretto contatto numerose generazioni di alberi con differenze di età secolari in luoghi in cui moribondi alberi plurisecolari si trovano in prossimità delle giovani piantine. Nel complesso la foresta vetusta appare con una struttura particolarmente articolata in cui alberi di varie dimensioni e piantine si mescolano nello spazio in modo apparentemente caotico. Analizzando però la storia dei vecchi alberi si scopre che nel corso dei secoli sono passati attraverso le 4 fasi che costituiscono il ciclo strutturale. La durata di un ciclo completo può variare in media tra i 300-500 anni.

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Degradazione

(durata 10-100 anni)

 

In questa fase i vecchi alberi presentano tutti i segni dei secoli trascorsi. La chioma si dirada, anche a causa del disseccamento di alcuni rami e il fusto può presentare cavità diffuse. Sono questi gli alberi habitat. Quando poi un albero di grosse dimensioni muore lascia nel bosco un ampio spazio dove possono insediarsi numerose piantine delle specie arboree che poi diverranno giovani alberi: la nuova generazione da inizio al nuovo ciclo strutturale.

Rinnovazione

(durata 10-100 anni)

 

Le numerose piantine di faggio, ma a volte anche di acero e sorbo, colonizzano lo spazio liberato dalla morte di uno o più alberi di grosse dimensioni raggiungendo un buon livello di affermazione all’interno della buca. Questa fase può durare anche diversi decenni prima di passare alla successiva fase di costruzione.

Costruzione

(durata 50-150 anni)

 

I giovani faggi e gli altri alberi superano in altezza erbe ed arbusti. Le chiome entrano in stretto contatto, innescando una fase di competizione che stimola la crescita in altezza degli alberi. Con il tempo gli alberi si differenziano in dominanti e dominati e la selezione naturale (autodiradamento) colpisce con la morte gli individui che rimangono indietro nello crescita in altezza (alberi dominati) .

Biostatica

(durata 150-250 anni)

 

Gli alberi raggiungono l’altezza della volta arborea e si presentano nella tipica “forma forestale”, caratterizzata da fusto slanciato e chioma inserita in alto. Quando diversi alberi in questa fase si trovano in stretto contatto determinano la chiusura della volta arborea. Gli alberi raggiungono la piena maturità fisiologica fruttificando abbondantemente. Questa fase può durare per secoli.

Il grado di naturalità degli ecosistemi

Ogni ambiente è dotato di un suo grado di naturalità: elevato, se le dinamiche sono guidate dalle forze della natura, basso se sono influenzate fortemente dall’intervento dell’uomo. L’uomo disturba continuamente la natura per ottenere beni e servizi a suo favore: le trasformazioni del territorio modificano i sistemi naturali rendendoli sempre più artificiali. La naturalità è quindi minima nei sistemi artificiali; più o meno bassa nelle aree agricole a seconda del tipo di conduzione (tradizionale o biologica), maggiore nelle foreste coltivate dove l’uomo imbriglia con la selvicoltura i processi naturali, massima nelle foreste vetuste che seguono le leggi della natura. Buona parte del territorio italiano, lasciato evolvere naturalmente, tenderebbe a essere ricoperto da foreste naturali.

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La decomposizione

Nelle foreste vetuste, a differenza dei boschi coltivati, il legno non viene portato via per essere utilizzato, ma torna al terreno sotto forma di sostanza organica. Così gli alberi rimangono sul posto e si decompongono progressivamente sotto forma di alberi morti in piedi (snags) o a terra (logs). Il legno morto, in piedi e a terra è, per molte specie di funghi, muschi e animali un habitat specifico spesso insostituibile.

Decomposizione

L’impatto dell’uomo sulle foreste

Nelle foreste coltivate, a causa del prelievo di legno da parte dell’uomo, manca la fase di degradazione del ciclo strutturale tipico delle foreste vetuste e anche quella biostatica risulta particolarmente accorciata. La scarsa presenza di alberi vecchi e di grandi dimensioni (con o senza cavità) e di alberi morti in piedi e a terra, determina una perdita di biodiversità.

In presenza di tagli frequenti il suolo viene espostoal calore ed alla luce, provocando una rapidadecomposizione della lettiera ad opera dei microrganismi e una maggiore esposizione agliagenti atmosferici che aumentano l’erosione. Ne può conseguire una diminuzione della fertilità del suolo a ogni ciclo di taglio.

Nelle foreste coltivate la semplificazione strutturale dell’ecosistema determina quindi una perdita di biodiversità sull’intero territorio. La selvicoltura razionalizza l’uso delle risorse forestali, cercando di minimizzare l’impatto dell’uomo sull’ecosistema. Tuttavia, una foresta coltivata, non riesce ad ospitare quella biodiversità di licheni (p.e. lobaria), muschi, funghi e animali (p.e. pipistrelli) propria di una foresta vetusta, che per questo motivo ha un ruolo fondamentale nella conservazione della natura.

I modelli di base delle attività selvicolturali si basano sul bosco ceduo, che si perpetua grazie al ricaccio dei polloni dalle ceppaie e sulla fustaia dove invece le piante nascono principalmente da seme. I boschi gestiti sia cedui che fustaie lasciati all’evoluzione naturale impiegano secoli per ritornare nello stato di foresta vetusta. Il grado di naturalità aumenta passando dal ceduo alla fustaia per divenire massimo nella foresta vetusta.

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Testi a cura di DendrologyLab

Gianluca Piovesan, Alfredo di Filippo, Rachele Venanzi, Marisa Ceccarelli

 

Illustrazioni

Marisa Ceccarelli, Emanuele Ziaco