La foglia del faggio, lunga una decina di centimetri e dalla forma ellittica, è l’unità funzionale principale del faggio e l’interfaccia fra la pianta e l’atmosfera circostante. Come tutti sanno, è proprio nella foglia che avviene la fotosintesi clorofilliana, ovvero il processo chimico attraverso cui le piante, a partire da anidride carbonica atmosferica e acqua assorbita dalle radici e in presenza di luce solare, producono materia organica (soprattutto carboidrati) e rilasciano molecole di ossigeno. Probabilmente, è utile ricordare che si tratta di uno dei processi biologici più importanti del Pianeta. Non solo perché senza di esso non ci sarebbero composti organici e quindi vita sulla Terra, ma nemmeno l’ossigeno che respiriamo. Attravero la fotosintesi, inoltre, le piante verdi sono in grado di sequestrare anidride carbonica dall’atmosfera, responsabile del dannosissimo effetto serra, e trasformarla in biomassa.
Oltre ai processi chimici, le foglie hanno anche un’importante funzionalità meccanica che influenza l’ambiente circostante. Innanzitutto, l’enorme superficie occupata dalle migliaia di foglie che costituiscono la chioma di un grande albero è come una rete dalle maglie finissime, che può agire da filtro e trattenere incredibili quantità di polveri e altre particelle in sospensione (pollini, pulviscolo, etc.) nell’atmosfera.
Una grande foresta può influenzare il ciclo dell’acqua e, quindi, la sua disponibilità in una certa regione. Gli alberi, e i faggi in particolare, sono delle grandi “pompe” di acqua. Per osmosi, le cellule dell’apparato radicale delle piante assorbono l’acqua precipitata al terreno con la pioggia. Questa poi sale nel fusto dell’albero per capillarità ma anche per la trazione esercitata dal vuoto creato dalla traspirazione che avviene a livello fogliare. In condizioni particolari, come dopo un lungo acquazzone primaverile, un grande albero è in grado di “bere” circa 500 litri di acqua al giorno e, immagazzinandone gran parte nel tronco, garantisce per sé la disponibilità di risorse idriche per tempi più difficili, ovvero di maggiore siccità. Quando l’acqua viene infine rilasciata durante la respirazione dell’albero, essa è immessa nuovamente nell’atmosfera circostante, ma purificata stavolta da elementi tossici e potenzialmente inquinanti. Chiaramente, per riuscire a comprendere a fondo la portata di questo processo, bisogna immaginare di moltiplicare la quantità d’acqua che passa per un singolo albero per il numero di tutti quelli che vanno a comporre un bosco. Attraverso questo rilascio ritardato, infatti, le piante di una foresta riescono a mantenere costanti e favorevoli non solo le condizioni dell’ambiente che li circonda dappresso ma, indirettamente, persino a influenzare il clima su scala più ampia, attenuandone le variazioni improvvise di temperatura e permettendo il formarsi di nubi e quindi l’avvento delle precipitazioni anche a grande distanza.