Forestbeat | La chioma del faggio
Nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise sono state localizzate le faggete più antiche d’Europa, candidate a diventare Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Noi vogliamo raccontarvi la storia di questo ecosistema così complesso e ricco di vita.
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Quando si ha l’opportunità di ammirare le faggete vetuste del PNALM dall’alto, queste rivelano al nostro sguardo tutta la loro bellezza e complessità. Solo trovandosi in posizione dominante relativamente a queste, per esempio in cima a una montagna o camminando lungo un crinale, se ne riesce ad apprezzare infatti l’estensione e la struttura particolare conferita dalle chiome dei grandi alberi che le costituiscono. Diversamente rispetto alle faggete coetanee e gestite, le foreste vetuste hanno alberi di diversa età e dimensioni e quindi le cime delle piante più vecchie si innalzano su quelle più giovani, sporgendo chiaramente rispetto al manto boschivo.
Sia che ci si trovi durante il periodo vegetativo, ovvero partendo dalla prima foliazione primaverile (in Appennino solitamente a fine Aprile-primi di Maggio) sino alla perdita delle foglie in autunno (usualmente in Ottobre), o durante quello di quiescenza invernale, sono le ampie chiome di questi alberi a conferire carattere e una propria “identità” alle faggete. Dalle prime, tenere foglioline verde-brillante della primavera alla tavolozza di colori dell’autunno e al manto bianco dell’inverno, i rami contorti e le fronde degli alberi vetusti colpiscono l’immaginazione delle persone in tutte le stagioni.

La foglia del faggio, lunga una decina di centimetri e dalla forma ellittica, è l'unità funzionale principale del faggio e l'interfaccia fra la pianta e l'atmosfera circostante

La foglia del faggio, lunga una decina di centimetri e dalla forma ellittica, è l’unità funzionale principale del faggio e l’interfaccia fra la pianta e l’atmosfera circostante

La foglia del faggio, lunga una decina di centimetri e dalla forma ellittica, è l’unità funzionale principale del faggio e l’interfaccia fra la pianta e l’atmosfera circostante. Come tutti sanno, è proprio nella foglia che avviene la fotosintesi clorofilliana, ovvero il processo chimico attraverso cui le piante, a partire da anidride carbonica atmosferica e acqua assorbita dalle radici e in presenza di luce solare, producono materia organica (soprattutto carboidrati) e rilasciano molecole di ossigeno. Probabilmente, è utile ricordare che si tratta di uno dei processi biologici più importanti del Pianeta. Non solo perché senza di esso non ci sarebbero composti organici e quindi vita sulla Terra, ma nemmeno l’ossigeno che respiriamo. Attravero la fotosintesi, inoltre, le piante verdi sono in grado di sequestrare anidride carbonica dall’atmosfera, responsabile del dannosissimo effetto serra, e trasformarla in biomassa.
Oltre ai processi chimici, le foglie hanno anche un’importante funzionalità meccanica che influenza l’ambiente circostante. Innanzitutto, l’enorme superficie occupata dalle migliaia di foglie che costituiscono la chioma di un grande albero è come una rete dalle maglie finissime, che può agire da filtro e trattenere incredibili quantità di polveri e altre particelle in sospensione (pollini, pulviscolo, etc.) nell’atmosfera.
Una grande foresta può influenzare il ciclo dell’acqua e, quindi, la sua disponibilità in una certa regione. Gli alberi, e i faggi in particolare, sono delle grandi “pompe” di acqua. Per osmosi, le cellule dell’apparato radicale delle piante assorbono l’acqua precipitata al terreno con la pioggia. Questa poi sale nel fusto dell’albero per capillarità ma anche per la trazione esercitata dal vuoto creato dalla traspirazione che avviene a livello fogliare. In condizioni particolari, come dopo un lungo acquazzone primaverile, un grande albero è in grado di “bere” circa 500 litri di acqua al giorno e, immagazzinandone gran parte nel tronco, garantisce per sé la disponibilità di risorse idriche per tempi più difficili, ovvero di maggiore siccità. Quando l’acqua viene infine rilasciata durante la respirazione dell’albero, essa è immessa nuovamente nell’atmosfera circostante, ma purificata stavolta da elementi tossici e potenzialmente inquinanti. Chiaramente, per riuscire a comprendere a fondo la portata di questo processo, bisogna immaginare di moltiplicare la quantità d’acqua che passa per un singolo albero per il numero di tutti quelli che vanno a comporre un bosco. Attraverso questo rilascio ritardato, infatti, le piante di una foresta riescono a mantenere costanti e favorevoli non solo le condizioni dell’ambiente che li circonda dappresso ma, indirettamente, persino a influenzare il clima su scala più ampia, attenuandone le variazioni improvvise di temperatura e permettendo il formarsi di nubi e quindi l’avvento delle precipitazioni anche a grande distanza.

Una grande foresta può influenzare il ciclo dell'acqua e, quindi, la sua disponibilità in una certa regione

Una grande foresta può influenzare il ciclo dell’acqua e, quindi, la sua disponibilità in una certa regione

Alla fine dell’inverno, da migliaia di gemme rossastre e affusolate localizzate sull’estremità dei rami degli alberi emergono le prime foglioline dei faggi. Quest’ultime, caratterizzate da una consistenza erbacea e dalla presenza di una peluria bianca ai margini, sono molto sottili e permettono quindi il passaggio di una notevole quantità di luce solare. In questo periodo dell’anno quindi possono esserci ancora diverse specie vegetali in grado di approfittare dell’abbondanza di luce e fiorire sul suolo della foresta. Tuttavia, con il trascorrere dei mesi le foglie dei faggi mano a mano si ispessiscono, fino a raggiungere una consistenza membranosa e un colore verde-scuro. E il fitto fogliame delle chiome dei faggi già alla fine della primavera trattiene gran parte della luce del sole, schermando pressoché completamente il suolo della foresta.
In estate, quindi, le faggete appaiono come luoghi tipicamente ombrosi e dal ridotto sottobosco. L’aspetto “pulito” alla base dei grandi faggi, infatti, si deve proprio alla scarsa capacità di specie erbacee e arbustive di crescere in assenza di luce. Allo stesso modo, però la struttura compatta della volta forestale di una foresta di faggi consente la permanenza di un microclima fresco-umido fondamentale per la sopravvivenza di questa specie che cerca l’ombra e rifugge l’eccessiva insolazione e… assai gradevole per gli escursionisti in cerca di refrigerio nella bella stagione!

L'aspetto "pulito" alla base dei grandi faggi si deve alla scarsa capacità di specie erbacee e arbustive di crescere in assenza di luce. Allo stesso modo, però la struttura compatta della volta forestale di una foresta di faggi consente la permanenza di un microclima fresco-umido

L’aspetto “pulito” alla base dei grandi faggi si deve alla scarsa capacità di specie erbacee e arbustive di crescere in assenza di luce. Allo stesso modo, però la struttura compatta della volta forestale di una foresta di faggi consente la permanenza di un microclima fresco-umido

Ma le sottili foglioline del faggio all’inizio della primavera sono anche molto vulnerabili. Non è raro a queste altitudini che gli alberi “sbaglino” il tempismo con cui far emergere le loro foglie e che possano quindi incappare in una gelata improvvisa o in una nevicata tardiva. Come è avvenuto ad esempio nel 2016 quando la foliazione avvenne già a metà Aprile e il crollo delle temperature alla fine dello stesso mese “bruciò” gran parte delle foglie sino ad allora emerse. Le foreste distribuite su una fascia molto ampia rimasero brune fino ai mesi estivi, quando i faggi, non senza sforzo, misero in atto una seconda foliazione, meno abbondante della prima, ma funzionale alla produzione delle sostanze nutritive prima della cattiva stagione.

Le sottili foglioline del faggio all’inizio della primavera sono anche molto vulnerabili. Non è raro a queste altitudini che gli alberi “sbaglino” il tempismo con cui far emergere le loro foglie e che possano quindi incappare in una gelata improvvisa o in una nevicata tardiva, come quella del 2016

Ciononostante, uno dei peggior “nemici” delle chiome dei grandi alberi vetusti non è il clima, o l’appetito di cervi e caprioli, assai ghiotti di foglioline, ma piuttosto un minuscolo insetto: l’orcheste del faggio, Rhynchaenus fagi, coleottero della famiglia Curculionidi. A primavera e specialmente sugli alberi ai margini della foresta, gli adulti dell’orcheste si nutrono delle giovani foglie dei faggi, bucherellandone le lamine, e deponendovi sopra le proprie uova. Una volta schiuse, da queste emergono larve che scavano gallerie tra le due lamine delle foglie prima di impuparvisi. Una forte infestazione di orcheste può affliggere anche numerose piante in contemporanea e distruggere gran parte delle loro foglie.

A primavera e specialmente sugli alberi ai margini della foresta, gli adulti dell’orcheste si nutrono delle giovani foglie dei faggi, bucherellandone le lamine, e deponendovi sopra le proprie uova

Un altro parassita esclusivo del faggio è un piccolo moscerino, Mikiola fagi, un dittero che depone le proprie uova nelle gemme, dove le larve una volta emerse si insinuano tra le foglioline fino a raggiungere le nervature e inducendo la formazione di galle, quelle piccole protuberanze rosse che si vedono spesso sulle foglie dei faggi. Le galle in pratica sono delle formazioni tumorali, cave a loro interno e proteggono la larva impupata, che infine emerge come adulto la primavera successiva.

Nella lotta contro i parassiti, il faggio ha comunque dei validi alleati. Tra questi molte specie di uccelli insettivori, come ad esempio il luì verde, Phylloscopus sibilatrix. È un piccolo passeriforme migratore, che sverna in Africa e torna ogni primavera per riprodursi nelle faggete europee. Si nutre prevalentemente di invertebrati che cattura ra le chiome degli alberi. A primavera il suo canto, liquido e ritmato, rappresenta la vera colonna sonora delle faggete appenniniche.

Il luì verde, Phylloscopus sibilatrix. È un piccolo passeriforme migratore, che sverna in Africa e torna ogni primavera per riprodursi nelle faggete europee. Si nutre prevalentemente di invertebrati che cattura ra le chiome degli alberi. A primavera il suo canto, liquido e ritmato, rappresenta la vera colonna sonora delle faggete appenniniche

Il luì verde, Phylloscopus sibilatrix. È un piccolo passeriforme migratore, che sverna in Africa e torna ogni primavera per riprodursi nelle faggete europee. Si nutre prevalentemente di invertebrati che cattura ra le chiome degli alberi. A primavera il suo canto, liquido e ritmato, rappresenta la vera colonna sonora delle faggete appenniniche

Passata la bella stagione, il faggio… “tira le tende”. In autunno, infatti, i primi freddi e le giornate sempre più brevi stimolano le piante a prepararsi per la stagione invernale. La verde clorofilla, non più necessaria alla fotosintesi, viene immagazzinata all’interno del tronco, lasciando nelle foglie solo zuccheri e pigmenti accumulati durante il periodo vegetativo. Sono proprio questi i responsabili dei colori vivaci di questa stagione, che, giustamente, rendono famose queste foreste durante il periodo noto come “foliage”. Tra l’altro, nelle meravigliose faggete vetuste il giallo e il rosso del fogliame contrastano a meraviglia con il verde dei muschi e il grigio dei licheni che abbondano sui tronchi dei grandi alberi.
Tuttavia, può capitare a volte di osservare piante giovani di faggio con le foglie rimaste attaccate alla pianta durante tutto l’inverno. In questi casi, le foglie sono andate incontro a marcescenza e completamente depigmentate. Non è chiaro il motivo di questo fenomeno, ma probabilmente le foglie morte proteggono la piantina dal freddo e dal ghiaccio.

In autunno i primi freddi e le giornate sempre più brevi stimolano le piante a prepararsi per la stagione invernale. La verde clorofilla, non più necessaria alla fotosintesi, viene immagazzinata all’interno del tronco, lasciando nelle foglie solo zuccheri e pigmenti accumulati durante il periodo vegetativo. Sono questi i responsabili dei colori vivaci di questa stagione

In autunno i primi freddi e le giornate sempre più brevi stimolano le piante a prepararsi per la stagione invernale. La verde clorofilla, non più necessaria alla fotosintesi, viene immagazzinata all’interno del tronco, lasciando nelle foglie solo zuccheri e pigmenti accumulati durante il periodo vegetativo. Sono questi i responsabili dei colori vivaci di questa stagione

© Bruno D’Amicis / Umberto Esposito 2013-2016 – www.silva.pictures

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