La nascita di una foresta
© Bruno D’Amicis – www.silva.pictures
Negli ultimi due anni, attraverso il progetto “Forestbeat”, abbiamo voluto introdurvi alle meravigliose faggete vetuste del PNALM, presentandovi alcuni dei loro abitanti più carismatici e, soprattutto, celebrando il fascino dei loro alberi spettacolari: faggi plurisecolari, dai tronchi enormi e rugosi e dai rami contorti, ricoperti di muschi e licheni, le cui chiome possono raggiungere anche alcune decine di metri d’altezza. Patriarchi silenziosi, che da tempo immemore vivono su queste montagne e, dall’alto delle loro roccaforti, sembrano assistere indifferenti ai drammi e agli eventi della nostra breve storia di esseri umani.
Viene difficile crederlo, ma come tutte le piante anche questi giganti ultracentenari hanno avuto origine da un piccolo seme. Immaginate il frutto di un faggio, una “faggiola” appunto, che, dopo essere maturata sui rami di un albero in un anno di “pasciona” (fruttificazione del faggio che avviene ciclicamente, di solito ogni 4-5 anni) sia caduta al suolo quattrocento anni fa. Rispetto alle centinaia di migliaia di altri frutti, maturati nello stesso periodo, questa faggiola è “fortunata”: è caduta infatti sopra un piunto di terreno fertile e profondo, dove la luce del sole riesce a filtrare tra le chiome degli alberi più grandi. Qui la faggiola sopravvive a muffe e insetti parassiti, sfugge alla vista acuta di una cincia e alla fame di un’arvicola, si apre e da essa esce una radichetta. Ci vorranno settimane prima che una piantina inizi a sollevarsi da questa e anni per vedere un alberello. I cervi gli sono passati accanto senza brucarlo e la neve profonda lo ha protetto dalle gelate invernali. Passano alcuni decenni e il piccolo faggio si fa sempre più robusto. Un orso si è grattato sulla sua corteccia, le tordele hanno costruito il nido tra i suoi rami. Dopo due secoli il faggio è ancora lì, oramai un albero imponente dalla folta chioma: la scure del tagliaboschi lo ha risparmiato, colpendo alcuni suoi “cugini” lontani poche decine di metri, e ora una famiglia di lupi riposa tranquilla tra le sue radici. Sono passati altri duecento anni e un escursionista accaldato si riposa all’ombra di questo albero maestoso, notando un picchio dalmatino che tambureggia su un ramo morto della pianta molto più in alto. Egli gode della frescura e della pace che regna in quell’angolo di foresta, ma non sa di trovarsi al cospetto di un vero e proprio miracolo…
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