Quando si entra in una foresta di faggi dell’Appennino la sensazione più frequente è quella di trovarsi in un ambiente alquanto povero di vita animale. A parte i canti degli uccelli che, nelle giornate della bella stagione, fanno da colonna sonora alla faggeta, per gran parte dell’anno è molto difficile riuscire a contattare gli animali nel folto degli alberi. Spesso ci si deve accontentare semplicemente dei segni della loro presenza. Gli escrementi di una volpe (Vulpes vulpes) lasciati a bella vista su un sasso o un albero caduto; mucchietti di pellet di cervi (Cervus elaphus) e caprioli (Capreolus capreolus), o, magari, la penna morbida e screziata di un rapace notturno caduta a terra sono tutto ciò che resta del passaggio dei vertebrati.
Nonostante le apparenze, le faggete appenniniche rappresentano comunque il rifugio e l’habitat d’elezione per moltissime specie: anfibi, rettili, uccelli e mammiferi che, in alcuni casi, vivono esclusivamente in queste foreste. Secoli di persecuzione e frequentazione umana dei boschi tuttavia hanno reso molto cauti questi animali che, tranne in alcune eccezioni, normalmente sono più attivi di notte. È inoltre assai difficile per noi umani, così goffi e rumorosi, riuscire ad avvicinarci in silenzio a specie che solitamente hanno sensi sviluppatissimi e, quindi, sorprenderle in attività.